Eros, il dio lontano
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La divinità è persa ma non il canto della perdita. Questa poesia pensante è scritta in nostro nome. Evoca grandezza passione arguzia contraddizioni di Eros. L’anima viva che cova in noi costretta su sentieri di bassa quota: una nuova sterilità le impedisce persino di sbagliare, impedisce ogni ero-ismo. Quello che rivive in questi versi di L.S. è la nostalgia di Nietzsche, Eliot, Wagner, di quelli che toccano, inascoltati, le corde del risveglio. Né cronaca né pensiero filosofico. Non può essere che una scrittura lirica, capace di allontanare da sé anche il più cocente dolore, per consegnarlo alla poesia. ******************
L’unica disciplina che può avvicinarsi Eros è la poesia. Da millenni ne ghermisce gesti e smorfie, sovente qualche piccola verità. Già, la poesia. Senza pretendere di capirlo, lo cerca; senza abbracciarlo, gli parla: senza interpretarlo, lo delinea. Per questo ho scritto la postfazione alla nuova raccolta di Lidia Sella, Eros, il dio lontano. L’autrice lo processa, lo implora, lo sogna, lo allontana, lo quantizza, lo perdona. E poi lo rende eterno. Ne ricama il destino, gli chiede in dono «l’illusione di non morire del tutto», lo osserva mentre «ozia, indugia, divaga, inciampa»; ne registra la latitanza. Eros adesso è stanco. Nella nostra civiltà soffre. È diventato prudente, calcolatore, si offre online, si dibatte «nella ragnatela del nulla».
dalla postfazione di Armando Torno.
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